Alcuni riferimenti alla storia.
Nel PRG di Roma degli anni settanta, il disegno delle zone edificabili, l’organizzazione della mobilità e la struttura viaria della città di Roma erano configurate insieme. Definivano l’organismo urbano insieme alle future forme dell’abitato, e attraverso l’uso sapiente della grafica, tracciati, spessori, colori, tratteggi, rispetti, ne offrivano una lettura organizzativa determinante.
Gli eventi successivi e la realtà attuale sono ben altro:
I tracciati strutturali (SDO, Togliatti, nodo di scambio Bufalotta, Tiburtina, nuova Pontina) non sono stati mai completati,
La rete integrata del PRG è attuata per aggiunte e allacci occasionali alle direttrici esistenti, senza costruire per intero la maglia organica completa che la sostiene,
La somma dei carichi urbanistici sempre sugli stessi canali, non adeguati, ha comportato spesso uno slittamento di senso delle grandi infrastrutture autostradali e di livello urbano che sono state deviate verso un ruolo di viabilità interquartiere di supporto agli abitati (GRA, complanari tratto urbano A24, tronchetto A24/tangenziale interna in cui poche centinaia dimetri hanno cambiato l’intero senso di un settore urbano).
La sequenza dei grandi eventi, hanno portato modifiche strutturali nei tracciati di livello urbano e nelle connessioni, anche ferroviarie (Olimpica, staz. Farneto..), ma nel tempo non ne sono state regolate le ricadute.
In trenta anni non sono mai state affermate esigenze di revisione di sistema, ma solo sommatorie di correttivi e aggiustamenti, né una variante tematica del PRG per riordinare nuovo obsoleto e inutile.
Nella realtà rimangono identificabili, a una lettura di struttura, le direttrici storiche romane (Casilina, Prenestina, Tiburtina…), tra di esse alcune trasversali incomplete, alcuni raccordi autostradali e il GRA; tutto il resto è un miscuglio non connesso di viabilità di scorrimento urbano, strade locali e ferrovie legate a principi diversi di progettazione.
Non solo. I tracciati originari in tal modo deformati hanno lasciato dei varchi aperti nella città soggetti a due spinte contrarie: tentativi di utilizzarli, modificandone il senso ormai perduto, per apportare correttivi e nuove interconnessioni tra i quartieri circostanti (via Mejo De Gnente); aspirazioni degli abitanti che non vogliono ulteriori apporti di traffico e rumore nelle aree aperte circostanti la propria abitazione (trasversale Vigna Murata/Tazio Nuvolari) in un groviglio inestricabile di interessi e vincoli a qualunque progettazione.
Risultato. I varchi rimasti aperti nella città sono spezzoni inutilizzati oggetto di cannibalizzazione, come la derivazione terminale sud dell’Asse Attrezzato, che non si farà mai (Euroma 2, Tormarancia) il cui varco libero è mantenuto, in cui si stratificano esposizioni di macchine usate, qualche palazzina autorizzata, chioschetti, improbabili orti urbani, avanzi di fossi e di agro.
Negli anni ’90 i modelli di simulazione e predittivi, basati sulla sintesi della forma in una rete semplificata per migliorarne la processabilità matematica, l’uso distorto di tali modelli di supporto alle decisioni come sostitutivi alla progettazione delle relazioni tra funzioni e parti di città, l’affermarsi di un modo specializzato e selettivo di rappresentare le reti su una immagine dell’abitato che fa solo da sfondo, hanno portato a una perdita del rapporto con la città, e di una sua regolazione attraverso il sistema delle infrastrutture, completamente autocentrato.
Il PRG 2008, concepito alla fine degli anni 90, si applica a questa realtà e con questo metodo di formazione modellistico. L’aumento dei 100.000 spostamenti complessivi nell’ora di punta della mattina, viene smaltito con nodi di scambio e l’utilizzo di nuovi itinerari tangenziali di scorrimento, secondo l’ipotesi assunta di un “centralismo decentrato”. Sui residui irrisolti del piano precedente nessun cenno.
Le parole d’ordine sono relative al riequilibrio della ripartizione modale a favore del trasporto pubblico, alla maggiore efficienza delle prestazioni del sistema, all’aderenza all’opzione dello sviluppo policentrico attraverso le “centralità” come i punti di corrispondenza, cui va associata la massima integrazione tra modi di trasporto gomma/ferro, pubblico/privato.
Il tentativo di “armonizzazione” (!) delle previsioni insediative con i programmi della mobilità si limita riprodurre la città consolidata e, per la città della trasformazione, sul collegare al meglio, ciascuno separatamente, i quartieri periferici, già ormai realizzati, alle dorsali urbane esistenti, puntando soprattutto ai probabili nodi di scambio col mezzo pubblico.
Stazioni, nodi e tracciati previsti propongono il completamento della configurazione esistente e il suo possibile efficientamento, ma non presentano mai un modello chiaramente selettivo e preferenziale: tutto è equivalente ed isotropo ed il sistema di rappresentazione non gerarchico si limita a dare un’idea progettuale della dimensione delle carreggiate, tutt’al più di ”ambientazione”, ma non un’idea di funzionamento della città.
Il Piano conferma l’assenza di una proposizione di struttura anche sotto il profilo del disegno. Da una parte risulta un disegno iperrealistico con rappresentazione di strade svincoli e parcheggi in vera forma, con rappresentazione simultanea di tutte le infrastrutture come già realizzate a Piano attuato. Dall’altra risulta un disegno vagamente astratto, non direttamente correlato ad opere o azioni da fare, poiché non è percepibile la selezione delle tratte mancanti delle infrastrutture viarie, disegnate tutte contemporaneamente come esistenti e per tutte le ipotesi possibili.
L’assenza di ordinamento delle scelte si riverbera immediatamente nel dimensionamento, piuttosto ampio, del Piano.
La rete delle ferrovie regionali aggiunge 27 stazioni per un totale di 133, e 74 Km di nuova rete, da gestire con contratto di servizio Regione/Trenitalia comprendenti anche la bretella ovest S.Palomba Ponte Galeria (!).
La rete delle ferrovie concesse scende da 46 stazioni a 12 con il presupposto di mutare la Roma Lido e la Roma Pantano in metropolitane.
La rete delle metropolitane aggiunge 93 stazioni per un totale di 155 stazioni e circa 93 Km di nuova rete.
I corridoi del trasporto pubblico sono 7 tangenziali e 8 adduttori per un totale di 200 km di rete. Nuova Delhi, con 21 milioni di abitanti su 42,7 kmq, ha realizzato dal 2002 n.6 linee metropolitane con 138 stazioni per 193 km, al 2021 conclude il programma totalizzando 8 linee con 250 stazioni e aggiunti 112 km di rete, con l’adiacente comune di Noida. Qualcosa non va a Roma.
Insomma l’efficienza numerica di un sistema viene scambiata per una buona condizione di accessibilità.
La situazione attuale.
Ovviamente le previsioni di scambio tra ferro e “centralità urbane” non sono mai avvenute, l’estensione della rete a elevata capacità in periferia è rimasta un auspicio, lo sforzo di sfruttare a fondo la rete esistente aumentando le stazioni rimane ovviamente oggetto di politiche aziendali, ancor di più per le tratte ferroviarie; si è faticosamente finito l’unico corridoio del trasporto pubblico, già all’epoca avviato, fino al centro Commerciale Maximo.
L’inefficacia non è casuale: si è ricercato un disegno di rete in equilibrio favorevole dal punto di vista dell’efficienza, ma senza riscontri nelle convenienze aziendali che intervengono nella realizzazione e fornitura del servizio, e soprattutto indipendente dai reali bisogni di relazione delle funzioni urbane e dai reali comportamenti dei cittadini. Non esistono più i comportamenti dei lavoratori fordisti del casa-lavoro giornaliero, cui sono facilmente applicabili modelli di simulazione rigidi, basati su parametri buoni per tutte le realtà. E’ stata scambiata la condizione di efficienza matematica di un sistema per accessibilità dei luoghi, ignorando totalmente un requisito di accessibilità e di benessere del cittadino, scarsamente disponibile a trasbordi multipli, spesso con spostamenti triangolari casa lavoro scuole servizi, che non si muove come una macchina, ma ha bisogni diversi, orari diversi, modi di abitare diversi, reddito e scopo del viaggio diversi variabili e non omologabili, età diverse. E il sistema di offerta deve essere semplice, versatile, raggiungibile, chiaro, affidabile, coordinato. Si tratta di sostituire a una funzione di dotazioni una funzione di prestazioni adeguate, elastiche al sistema di bisogni dei cittadini, senza dimenticare i bisogni di efficienza e affidabilità della mobilità da parte delle imprese e delle attività direzionali.
È del tutto evidente che si è rarefatto il nesso dell’interazione tra mobilità e disegno urbanistico della città e del territorio, sia nei contenuti che nel lessico utilizzato.
Oggi Roma, è una città ormai compiuta, con una aspirazione di benessere degli abitanti nel modo di rapportarsi alla mobilità, legato prevalentemente ad una complessa funzione di utilità dell’utente, sicuramente non meccanica, che si evolve e modifica a seconda dell’offerta. Queste esigenze vanno accompagnate e soddisfatte con strumenti meno meccanici e indifferenziati dei modelli. E’ necessario tornare a progettare con gli strumenti dell’urbanistica, per una maggiore pertinenza ed efficacia del disegno delle infrastrutture nell’organizzazione della città.
Gli elementi chiave per la revisione.
Lo schema di struttura per le funzioni urbane. E’ necessaria l’individuazione di uno schema di itinerari specializzati ferro e gomma, che soddisfi le esigenze di relazione delle sedi delle attività trainanti nella città e quelle più dinamiche nell’area metropolitana, in cui vive il 25% della popolazione della intera città metropolitana.
Le funzioni urbane trainanti ed i grandi attrattori come centri commerciali e le offerte di tempo libero sono ormai nei punti più accessibili di un sistema che ignora il telaio dei centri e ignora qualunque confine amministrativo. La selezione della struttura deve identificare i punti di forza dell’area, fino al centro storico, alla cittadella del parlamento per esempio, tenendo conto delle specifiche esigenze di relazione internazionale, nazionale, urbana. Alle esigenze di relazione deve corrispondere la scelta delle dorsali su cui convogliare infrastrutture e nodi secondo modi di mobilità appropriati, ma con una chiara visione delle prestazioni necessarie. Niente di nuovo quindi, ma una fermissima esigenza di una ordinata lettura dell’esistente e la coerente formulazione di un modello molto selettivo, che scelga in modo non fintamente neutrol’organizzazione del sistema, guidando consapevolmente vantaggi e svantaggi. E’ evidente che sia necessario un supporto tecnico a tali elaborazioni, è altrettanto evidente un’esigenza di governance e di intese per la realizzazione della viabilità e per la gestione del servizio di trasporto pubblico. Insomma lo schema di struttura deve essere in primo luogo uno strumento di rigorosa selezione e reale scelta di infrastrutture lungo direttrici, dorsali e punti di concentrazione delle funzioni, non una forzatura verso luoghi fintamente reali, guidati dal disegno e dalle partizioni catastali.
La costruzione delle mappe dell’accessibilità per settori urbani. Lo schema di struttura lambisce con tracciati e nodi i sistemi locali: ossia quell’insieme di aree edificate, o in formazione, prevalentemente residenziali in cui si organizza il ciclo di vita quotidiano degli abitanti. Case in linea, case unifamiliari con giardino, palazzine per lotti a media densità, comprensori chiusi e autosufficienti, toponimi incompleti a bassissima densità e accessibilità hanno diversissimi stili di vita e di mobilità. Malgrado la diversa attitudine agli spostamenti, tutti sono accomunati da due aspettative: una mobilità locale connessa in grado di garantire l’integrazione tra quartieri e zonecon diverse modalità, (la città dei 15 minuti ora evidenziata dalle esigenze Covid, aveva aspettative già ampiamente preesistenti), una rete locale fluida per raggiungere col minimo disagio, secondo una funzione di utilità dell’utente, le reti urbane, le stazioni e le località centrali; non basta certo la presenza di una stazione nel nulla.
Negli abitati va individuato un circuito intermedio, identificabile e continuo che raccoglie, facilita e organizza la mobilità locale per l’accesso ai nodi e alle reti di livello urbano, e che ottimizza le possibili integrazioni tra alternative di trasporto.
Il ruolo dei percorsi locali, prima soffocati da flussi di traffico sovrapposti e conflittuali per un plurimo e ambiguo modo d’uso della strada, cambia nettamente di senso. Essi assumono il ruolo di luogo dell’integrazione tra quartieri tra tessuti tra isole, caratterizzato dalla mobilità dolce, dall’attenzione allo spazio pubblico continuo, all’accompagnamento e alla valorizzazione della rete ecologica e dei beni culturali, ingredienti di una migliore qualità dell’abitare e dell’eliminazione dei conflitti locali derivanti dall’atteggiamento nimby.
Si deve costituire un sistema di infrastrutture di livello intermedio per l’accesso organizzato e distribuito tra gli abitati e le dorsali di città su ferro e su gomma, ricavato nel reale disegno, di oggi, dei quartieri e dei tessuti.
Allo scopo va svolta la vigilanza sul reale stato di attuazione degli interventi urbanistici. Ognuno di essi è nato avendo già concepito, e finanziato, ma non sempre realizzato, la dotazione della necessaria viabilità di allaccio alla rete urbana. Bisogna selezionare e riordinare ciò che i singoli piani propongono, organizzando tracciati ordinati, continui, coordinati, fattibili rispetto alla forma del terreno. Di conseguenza dovrà cambiare completamente il modo di concepire le stazioni, da spazi di passaggio per le fermate dei mezzi pubblici a creatori di urbanità e di identità delle comunità locali. Il nuovo ruolo esige anche un miglioramento dei tracciati di adduzione e una maggiore integrazione nei tessuti circostanti. E trova adeguatamente luogo la ciclabilità.
Non sono condizioni astratte, è una richiesta corale di molti cittadini, verificata anche con indagini dirette sui 15 Municipi.
Lo scambio leale con i gestori di reti e la governance delle aziende. Assieme al benessere nei Municipi, al sostegno per le iniziative di sviluppo, è assolutamente necessario governare i rapporti con gli operatori economici e dei servizi, costruendo un sistema di convenienze non solo aziendale ma che soddisfi la strategia territoriale. A Roma, Enti, Imprese di Stato, soprattutto per la gestione dei trasporti, agiscono secondo logiche e piani che sfuggono a qualsiasi rapporto con gli effetti delle loro trasformazioni nel contesto urbano. Spesso si sottoscrivono convenzioni col Comune che sanciscono soprattutto il peso di un interesse reale diverso e sovraordinato a quello comunale. Il territorio è utiliizzato secondo le logiche di tanti “Principati”, ciascuno dei quali ha una sua politica di sviluppo, con obiettivi aziendali indipendenti tra loro, poco o per niente coordinati anche a livello statale. Soprattutto non integrati, o almeno coordinati, con quelli di un disegno complessivo di governo della città. Incapacità dei gruppi dirigenti politici e amministrativi romani, o azione dei“Principati”, che hanno creato subalternità ai propri obiettivi da parte di una classe politica senza Visione?
E’ evidente che vada costruito un patto, rifondando il rapporto pubblico privato su basi nuove e, non dimentichiamolo, su una condivisione o almeno su una corretta consapevolezza da parte della popolazione.
Bisogna condividere un percorso in cui sono chiare le convenienze. I gestori dei servizi devono essere attratti da uno “scambio leale” (2006) di vantaggi economici, derivanti anche da avere intorno una città fluente ed efficiente, contro benefici collettivi per la mobilità urbana e locale identificati da una amministrazione proattiva.
Il nuovo ruolo delle stazioni. Ovviamente il punto cruciale per una revisione del modello di mobilità romano, così fondato su una città connessa, piuttosto che su una città meccanicamente ordinata, sono sia i punti di snodo tra viabilità locale e urbana, ma soprattutto il ruolo da conferire alle stazioni. Da corridoi squallidi, degradati, sporchi, a luoghi di offerta di servizi integrati per la sosta e per le esigenze di vita quotidiana, di esse va totalmente ricalibrata la posizione degli accessi, i servizi di scambio, la capacità di penetrazione, l’estensione dell’area di influenza.
Appurato che l’incremento delle stazioni posto dal PRG non sarà mai né completo né repentino, soprattutto per il prevalere delle logiche aziendali sull’organizzazione del servizio, bisogna imparare a sfruttare bene a fondo quelle che ci sono, con i minimi costi, oltre a ottimizzare la selezione di quelle future.
Prima di tutto facendole diventare “luoghi della città” sicuri, in cui ci si incontra e si trovano servizi alla persona e alle attività, attrezzando nelle aree circostanti idonei parcheggi, estendendo la loro raggiungibilità dalla rete locale, attrezzando lo spazio pubblico circostante come un percorso piacevole, e ridisegnando completamente la funzione di servizio del trasporto su gomma.
Un possibile esempio per tutti. La progettata ristrutturazione di Viale Marconi con sede protetta per veicoli di superficie, consente di connettere in pochi minuti stazione di Trastevere con la Stazione Marconi, evidentemente sottoutilizzata in un intorno privo di interesse e, rivedendo i tracciati del servizio di trasporto pubblico su gomma, portare rapidamente sulla linea B e sull’anello ferroviario i quartieri esistenti fino alla via Ardeatina, in modo molto più diretto di quanto fatto finora e in alternativa a un complicatissimo tram tra i quartieri, studiato a lungo ma evidentemente non conveniente. Il tutto con i costi minimi di una ristrutturazione viaria di circa due Km. Evidentemente è esattamente questa capacità di connessione che consente di lasciare il veicolo privato.
I tracciati ferroviari urbani, nei protocolli con il Comune hanno sempre il ruolo bifronte di fornire utili all’azienda e servizi di pubblica utilità, cercando senza infingimenti un faticoso equilibrio. Anche la magica narrazione della chiusura dell’anello ferroviario, che solo ora dopo anni si va avvicinando nella programmazione, va letta in questo modo. Tralasciando la storia lunga più di un secolo della vicenda, l’accordo RFI Comune, del Luglio 2019, conferma l’opera della chiusura Nord, ma ancora non finanziata (non casualmente). Va preliminarmente acquisito che l’anello non assolve, secondo la narrazione corrente, alla funzione di girare in tondo alla città, un non senso dal punto di vista ferroviario, ma serve a smistare meglio il nodo di Roma, sia sulle tracce internazionali da Tiburtina, sia tariffando il più possibile con l’organizzazione delle tratte in sistemi tangenziali il più appetibili possibile per l’utenza. In questo senso con la chiusura nord RFI ottiene, senza i consumi di suolo sulla dorsale tirrenica, come si prevedeva qualche anno fa, di convogliare tutto il traffico nazionale sulla stazione Tiburtina smistando non solo la AV Napoli/ Roma/ Firenze ma, con questa breve tratta, di intercettare non solo le linee lente per Firenze e per Viterbo, ma soprattutto la linea nazionale Roma Pisa e l’esistente discesa da nord all’aeroporto di Fiumicino, attorno alla corrispondenza della quarta pista. Un perfetto servizio senza consumo di suolo, da dichiarare e da applaudire, ma non va consumato nel messaggio del girotondo di Roma. Ci si attende in tal caso che con i privati venga sostenuto lo ”scambio leale” (2006). In tal caso vanno governate le ricadute locali, poiché il tracciato di progetto viene spostato da quello già di proprietà RFI e la stazione Tor di Quinto viene totalmente rimaneggiata, con inevitabili conseguenze sui valori fondiari e sulle spese a carico del Comune. Quindi l’anello ferroviario va confermato positivamente ma consapevoli del valore urbano che esso assumerà, delle modalità di servizio alla città e dei valori di scambio pubblico /privato.
Da ultimo si segnala che tale nuovo tracciato e stazione sono stati inseriti e finanziati nell’elenco approvato delle 58 opere del MIT assieme alla variante urbanistica per la revisione del piano della stazione Tiburtina.
Sembra questo il paradigma per impiantare a Roma una mobilità sostenibile.
Roma, rev.7.7.2021

A prescindere dalla difficoltà a comprendere diverdi passaggi del documento in quanto non essendo parte della famiglia urbanistica, si mette il ditone nelle piaghe che ci confermano il disastro urbanistico e quindi della mobilità in cui versa la nostra città.
Credo che come Roma Interrotta dovremo proporre soluzioni praticabili rispetto anche ai tempi dei cambiamenti da attuare