
Torno a Tor Bella Monaca dopo oltre una decina di anni dall’ultima volta che ci misi piede per girare alcuni servizi tv sul “disagio delle periferie”. Cosa è cambiato? Assolutamente nulla, forse è solo più sporca, in coerenza con il resto di Roma. Ho ritrovato lo stesso silenzio, lo stesso vuoto, la stessa percezione di assenza. In una parola la rappresentazione plastica di un progetto, direi premeditato, di esclusione di fasce di popolazione svantaggiata, in questo luogo simbolo di tutte le campagne elettorali il cui slogan “ricominciamo dalle periferie” suona se possibile ancora più vuoto di chi le pronuncia.
Chi ha commissionato e progettato questi luoghi, all’incirca una cinquantina di anni fa, lo ha fatto mosso dalla necessità di dare un alloggio a migliaia di persone in emergenza abitativa. Intento lodevole, totalmente inquinato da ideologie urbanistiche e architettoniche astruse, pomposamente chiamate utopie razionaliste e che io chiamo un’impostura politica. La stessa per intenderci che ha originato altre architetture criminogene e ossessive come Laurentino 38 e Corviale.
Il cuore della socialità di Tor Bella Monaca è un piccolo centro commerciale in cemento bruto che si sviluppa al piano terra e al piano interrato con negozi dalle insegne e dalle marche sconosciute nel resto di Roma. Praticamente dei sottoprodotti commerciali. Evidentemente nessuno intende investire più di tanto da queste parti. Da questa agorà commerciale partono poi dei ponti pedonali sopraelevati che collegano altri corpi fino ad arrivare alla sede del municipio e del teatro, in cui si percepiscono timidi segnali di riqualificazione a basso costo. Sotto questi ponti scorrono arterie stradali con l’intento di separare le auto dalle persone. In pratica il progettista e il committente hanno deciso tutto loro: dove si deve camminare, dove si deve chiacchierare, dove si deve comprare, dove si deve abitare, dove e di quale cultura ci si deve nutrire. Il risultato è un’istituzionalizzazione totalitaria della popolazione. Rinchiusi e isolati.
Ad alcuni chilometri di distanza, in via dell’Archeologia, in modo totalmente disunito dal resto, si sviluppano le torri dove abita la maggior parte della gente. Come tanti anni fa, ho rivisto le stesse teste di donne affacciate dalle inferriate delle finestre del piano terra che guardano quel poco di mondo fuori. Poi una bella piazzetta-giardino di recente riqualificazione praticamente vuota, un Porsche Cayenna che faceva avanti e indietro e un breve tratto della antica via romana Gabina sfregiata da lauti escrementi di cane. Tutto qui. Si respira emarginazione e criminalità, un territorio perduto della Repubblica, come alcuni intellettuali francesi definiscono alcune banlieue.
Le astruse teorie architettoniche che dominavano le facoltà di architettura negli anni ’70 sono state applicate essenzialmente più per soddisfare un narcisismo intellettuale che per dare un tetto a migliaia di persone. Garbatella è un quartiere operaio che rispetta la persona, non Laurentino 38. Volevano marcare la loro appartenenza a un movimento che sognava le new town, un manifesto di idee che li accomunava ai grandi come Le Corbusier e Van den Broek sul tema del quartiere autosufficiente. Solo vanagloria. Con una sponda politica che ha avallato questa grande impostura.
Purtroppo questi “impostori” hanno dominato e dominano ancora la scena politica e intellettuale del paese. E non mi riferisco solo ad urbanisti e architetti. Ci sono politici, sindacalisti, associazioni, movimenti. Sono riusciti ad accreditarsi come la parte migliore del paese e hanno condizionato e condizionano ancora scelte strategiche. Sono quelli del no ai rigassificatori, del no alle centrali nucleari, del no all’alta velocità, del né con lo Stato né con le Br ed oggi dell’equidistanza tra Nato e Putin. L’occasione di liberarci di certe zavorre con scelte liberali, democratiche e alla fin fine di semplice buon senso nell’interesse comune e nella dignità delle persone è arrivata. Non lasciamocela scappare.
Accade nei Territori
In evidenza
Innovazione sociale
Politica della città
Primo Piano
Senza categoria
Sovrapporre una ideologia politica ad una corrente architettonica e‘ sempre profondamente sbagliato. È corretto esattamente il contrario, è il movimento culturale artistico architettonico che dà lustro è riconoscibilità alla logica dettata dalle Ideologie, è ciò non accade per definizione ma per caso. Quando l’ideologia entra nelle regole e deve da queste essere espressa il risultato è visibile in queste orribili e sconfinate periferie dove il disagio sociale e’ la regola e non l’eccezione.