Siamo convinti di lasciare continuamente tracce dei nostri movimenti e delle nostre azioni. Il tema della tracciabilità è uno dei punti di forza di ogni azione dalle raccomandate ai provvedimenti amministrativi.
Ha lasciato tracce l’artigliere russo in Ucraina che postando una sua foto accanto alla sua postazione missilistica ha fornito la prova dell’intervento di truppe russe in Ucraina.
Ha lasciato tracce, e infatti è stata rintracciata, l’angosciata madre romana che ha fatto – coi suoi post minacciosi – chiudere più volte la metro di Roma dopo i fatti di Parigi.
Hanno lasciato tracce le milioni di foto di gatti postate dalla polizia belga per impedire che i terroristi o ignari cittadini postassero le operazioni antiterrorismo in corso.
Hanno lasciato tracce le foto ricordo dei marines torturatori di Abu Ghraib.
Gli unici che non hanno lasciato tracce sono stati l’uomo col mitra giocattolo nonostante le innumerevoli telecamere dei labirintici corridoi della stazione Termini e l’audi gialla in fuga sulle autostrade del nord-est malgrado i continui tutor e autovelox.
Ce n’è di che chiedersi della tanto decantata sicurezza che le nuove tecnologie ci dovrebbe assicurare se l’allarme, a Roma, non è arrivato – in tempo reale come sarebbe da aspettarsi – dalla sala operativa delle telecamere di Termini ma dalle telefonate dei viaggiatori.
