In una giornata segnata dallo shock dell’ennesima scossa sismica, alcune anime palpitavano per ben altre scosse. È il giorno tanto atteso dalle migliaia di fan romani, e non solo, che hanno riempito il Palalottomatica. Ore 19,00 The Twilight Sad fanno da apripista al concerto dei Cure; il palazzetto è sold out, l’atmosfera però non è quella dei concerti passati, non si notano capelli cotonati e laccati, soprattutto ci sono molte maglie bianche e colori sgargianti il che toglie un po’ di pathos .
Alle 20,30 Robert e compagni salgono sul palco e tutto cambia. Al basso il fedelissimo Simon Gallup, Jason Cooper alla batteria, Roger O’Donnell alle tastiere e piano ed infine ciliegina sulla torta alla chitarra Reeves Gabrels (storico chitarrista dei Tim Machine e di David Bowie).
Finalmente si accendono le luci sul palco riecheggiano le prima note di Shake Dog Shake che riaccendono le speranze. La voce di Robert è rimasta invariata nel tempo, morbida, acuta , pulita inconfondibile, così come il suo look e il suo trucco, lui che per un decennio è stato l’icona della Darkwave, lui si è rimasto uguale a se stesso, non sembra mai finto o goffo anche adesso alla bellezza di 57 anni più attuale che mai , sempre a proprio agio ( il romanticismo e i romantici non passano mai di moda).
Finalmente il cuore nero ma caldo pompa sangue e vita, tutti gli abitanti del palazzetto rimangono estasiati, sospesi sotto il colpo altisonante ma nello stesso tempo delicato della musica oscura dei Cure. Si percepisce, il silenzio e la concentrazione del pubblico attento a non perdere nessuna sfumatura dello spettacolo. E’ inutile: c’è chi fa la storia e chi la lascia invariata . La band inglese ha numeri da fuoriclasse come quei giocatori di calcio di cui non si dimenticano le gesta, nemmeno una volta ritirati dalla attività agonistica…
Paragonabile a una tripletta di Van Basten i nostri anellano tre canzoni fantastiche, Shake Dog Shake, Fascination Street e A Night Like This. Queste sono giocate che chiudono la partita, in questo caso il risultato è aperto visto che sono passati circa una decina di minuti, ma tutto scorre velocemente ed ecco arrivare con un soffio di leggerezza la melodia energica e colorata di In Between Day che dà respiro e gioia, parole che abbinandole alla band in questione risultano fuori contesto, ovviamente senza tralasciare che la vena oscura di Robert anche se lieve o se mascherata traspira sempre.
L’Uomo Ragno avanza sta tessendo la tela ed ecco il momento della mostruosa ninna-nanna Lullaby e poco dopo arriva anche il momento della meravigliosa Charlotte Sometimes, si scioglie un pianto ciò che appena bagnato i visi non è fredda pioggia ma sono calde lacrime di pura emozione, non si può rimanere impassibili dinanzi a tale poesia, sarebbe come rimanere impassibile al sinistro di Maradona. A seguire come una raffica di mitra Lovesong, Just Like Heaven, From the Edge of the Deep Green Sea, silenzio un pugno in pieno volto arriva per stendere l’avversario al tappeto, si scatena l’apoteosi parte il riff di chitarra di One Hundred Years (capolavoro dark) la melodia penetra nelle ossa e nello stesso tempo come una trivella sprofonda nell’anima, le parole colpiscono il ventre come una lama affilata recitando le seguenti parole “It doesn’t matter if we all die ” (“non importa se moriamo tutti”). Il concerto è un susseguirsi di emozioni contrastanti tanto da arrivare alla chiusura del primo set, si perché i nostri amatissimi risaliranno sul palco altre tre volte.
Primo rientro della band, nell’aria uno stridio di uccelli e parte Burn fantastica canzone legata alla colonna sonora di quella favola oscura che è il film The Crow (Il Corvo), arriva anche la chiusura del primo bis con l’inno per eccellenza di tutto quell’ immaginario che appartiene esclusivamente al popolo dark A Forest spettacolare come sempre.
Robert e compagni appaiono e scompaiono come fantasmi via al secondo bis ed anche al terzo, infaticabili, come sempre facchini della musica, parola che va intesa nell’accezione più elegante che si possa immaginare.
Lovecats, Hot Hot Hot, e Friday I’m in Love. Il pubblico tocca il cielo con un dito, la leggerezza e la popolarità della canzone fanno cantare praticamente tutti così come succede per Boys don’t Cry, Close To Me, e a chiudere Why Can’t I be You.
E’ la solita passeggiata sul palco a raccogliere applausi, sorrisi, urla emozioni, tutto ciò che di bello ha donato con la sua musica e il suo carisma lo va a riprendere, è il momento dello scambio, del passaggio di energie che dal palco partono e al palco tornano, l’epifania si è avverata. E le scosse di terremoto che avevano svegliato la città mandandola in panico, con le note della musica hanno ristabilito la quiete.
