
di Lucilla Rogai
Non sono un’esperta di rifiuti, ma sono esperta di monnezza avendo sotto casa 4 cassonetti per la cosiddetta raccolta differenziata: organico, carta, plastica e indifferenziata. Non c’è il vetro, ma le campane sono facilmente raggiungibili. Questa piccola isola ecologica sotto casa si replica 50 metri a destra, 50 metri a sinistra, 20 metri attraversando la strada, insomma monnezza ovunque nel giro di pochi metri quadrati. Come in tutta Roma, del resto. Tra i cassonetti, luridi, maleodoranti e scassati, puoi trovare di tutto. Compresi escrementi animali e umani. Pur non nutrendo particolare simpatia per l’AMA, riconosco che per un lavoratore è fortemente lesivo della sua dignità raccogliere la merda di qualche incivile.
Il concetto di cittadinanza è molto provato, non ce la fa proprio dalle mie parti, come in tante altre parti di Roma. Ho smesso da tempo di litigare con i miei concittadini che buttano l’indifferenziato nella carta, le buste di plastica nell’organico e materiale elettrico dove capita. Annullando di fatto lo sforzo di differenziare. Facessero come gli pare, se uno non ha ancora capito che posso farci io? Bisogna però dire, a loro e a nostra difesa, che raggiungere le isole ecologiche, quelle vere, è una prova di pazienza e resistenza. Nel mio quadrante, le più vicine sono o Laurentina o Corviale, non esattamente dietro l’angolo, e per smaltire una stampante puoi perdere un’intera mattinata. Non proprio un incentivo a comportarsi bene.
Prima domanda che pongo al candidato sindaco: è possibile creare punti di raccolta speciali di prossimità?
Passiamo ora al programma rifiuti di Carlo Calenda. Mi rivolgo a lui perché, a quanto ne so, è l’unico che finora abbia presentato un piano. Al primo punto troviamo: pulire strade e marciapiedi, “oggi sporchi e pieni di erbacce”. Il piano durerebbe 12 mesi e costerebbe 40 milioni di euro. Naturalmente è un buon inizio. Purtroppo però il diavolo è nei dettagli. La vera oscena monnezza a Roma non la trovi tanto sui marciapiedi cittadini o sulle strade. Quei luoghi molto frequentati. Sì certo cicche, lattine e erbacce ci sono, ma il disagio non è quello. Il grosso, quello vero, lo trovi se ti inoltri in quelle parti di città più rarefatte, anche non necessariamente lontane dal centro storico. Tutto ciò che circonda il Tevere ad esempio. Io sono una camminatrice urbana e se percorri riva Ostiense o il lato del Mattatoio che dà sul fiume, dove peraltro spesso sostano mezzi Ama non si sa bene a fare cosa, trovi l’enciclopedia treccani dei rifiuti che giacciono nell’ostinata volontà di lasciarli lì: lavatrici, carrozzine, pneumatici e calcinacci tutto ormai semi-divorato dalla verdura.
Scendere sul greto del Tevere e percorrerlo da porto Fluviale fino a Ponte Milvio (una delle più belle passeggiate del mondo e non esagero) contando gli insediamenti abusivi e quanti e quali rifiuti producono, persino parabole, contando relitti di barconi, contando bici e motorini rubati e abbandonati, contando le buste di plastica impigliate sui rami, contando cosa si accumula nel salto del fiume a Isola Tiberina, è una via crucis senza redenzione finale.
Ma Roma è molto di più. Ricordiamo che oltre il 65% del territorio di Roma è costituito da aree verdi, di cui più del 30% destinate ad attività agricole. In queste vaste aree verdi o meglio non edificate, si annida il diavolo dell’incuria. Sulla pista ciclabile che da Magliana prosegue sul viadotto e poi curva a sinistra verso Tor di Valle e Mezzocamino, c’era fino a poco tempo fa una discarica di frigoriferi, tanti, forse frutto di qualche furto, un ex sfasciacarrozze che ha chiuso lasciando motori, ferraglia, pneumatici senza rimuoverli, poi rifiuti pericolosi, e mano mano che ci si addentra un manufatto abbandonato e poi un canale con un ponte romano teoricamente bellissimi ma che solo a guardarli viene da piangere.
Sulla Salaria c’è una viuzza sulla destra, venendo da Roma, che si chiama Via di Tor San Giovanni e che porta alla Marcigliana, un parco naturale e agricolo pregevole. All’inizio sembra di attraversare una latrina, che provoca oltre che disgusto, anche smarrimento e senso di insicurezza. E siamo a un quarto d’ora dai Parioli. Sulla via Tiburtina all’altezza dello “sfortunato tentativo di allargamento” (cit. Linda Meleo) che dura ormai da 12 anni, c’è la ex Penicillina. Lì trovi di tutto compreso l’amianto. Questo sito è di proprietà privata, una famiglia umbra, ma l’amministrazione capitolina non riesce a farsi valere nei loro confronti, gettando da anni nello sconforto gli abitanti. Pochi esempi per dire che forse 40 milioni sono pochi e 12 mesi pochissimi, perché per una vera pulizia e non una romanella, occorrerebbe eliminare tutto questo e tanto altro e bonificare corsi d’acqua e terreni. Ma come si dice la lunga marcia comincia con un passo.
Nei prossimi articoli affronteremo gli altri punti.
di Lucilla Rogai
