La regione Lazio, con la recente legge collegata alla finanziaria [1], ha meglio esplicitato come le norme che liberalizzano gli interventi di demolizione e ricostruzione annichiliscano i Piani regolatori. Senza dimenticare che questi interventi sono sempre gratificati anche con il premio dell’aumento dei volumi o delle superfici.
Quindi sono state azzerate le precauzioni poste dai Piani Regolatori per un ordinato sviluppo del territorio. Infatti, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono sempre consentiti “indipendentemente … da altre prescrizioni previste “ dai Piani regolatori. Di conseguenza si aprono praterie per le trasformazioni edilizie portate avanti fino dentro al cuore della città. Secondo il legislatore regionale gli interventi di demolizione e ricostruzione “sono sempre consentiti” con l’unica eccezione delle zone individuate “come insediamenti urbani storici” dal Piano Territoriale Paesaggistico Regionale. Nel caso di Roma, e senza motivate ragioni, il PTPR ha limitato l’insediamento urbano storico al perimetro delle Mura Aureliane e poco più. Per esempio, non è considerato come insediamento storico l’intero quartiere di San Lorenzo mentre è considerato storico Testaccio. Allo stesso modo è considerato storico il Palazzaccio ma non la prospiciente Piazza Cavour. Altrettanto è considerata storica la Basilica di San Paolo ma non Garbatella [2].
Così, con un semplice comma di legge regionale, sono state azzerate le tante accortezze poste dal Piano Regolatore nel distinguere e articolare gli interventi in funzione delle diverse caratteristiche proprie delle diverse porzioni della città. In altre parole la demolizione e ricostruzione, spinta dal vento degli incrementi edilizi, può spingersi in modo indifferenziato in quartieri storici appena al di là delle Mura come Parioli, Trieste, Nomentano e Monteverde, per non citare Garbatella e Monte Sacro appena più in la dalle Mura.
Tuttavia, messo nell’angolo il Piano Regolatore, interviene un altro codicillo, questa volta di rango nazionale a riportarlo in partita. Attraverso il combinato disposto da un lato della presenza di agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale [3] ben oltre il limite delle Mura e dall’altra alla prescrizione di rango sovraordinato [4] che condiziona, in tali ambiti di pregio, gli interventi di demolizione e ricostruzione al rispetto della disciplina del Piano regolatore. Infatti, solo il piano urbanistico locale può tenere conto dello specifico contesto a cui si rivolge.
Dunque, nel caso di Roma, la norma regionale che equiparava in modo indistinto tutta la città fuori dall’anello Aureliano, viene interdetta per tutto l’agglomerato urbano di pregio dal bastione della norma nazionale che dà nuova vita alle prescrizioni del piano regolatore elaborate puntigliosamente per migliorare la qualità della nostra città. Norme niente affatto “iperconservative” perché consentono, ove necessario e possibile, sia la demolizione che l’ampliamento fino al mitico 20% delle superfici e dei volumi.
In conclusione ecco il motivo per cui taluni vogliono ridurre la città di pregio nei limiti amministrativi di quella che era la prima Circoscrizione. Considerando la città una semplice sommatoria immobiliare dove prevale solo la quantità sulla qualità e derubricando così la memoria e l’identità dei romani.
Per chi volesse documentarsi:
2 – Art. 44 delle Norme del PIANO TERRITORIALE PAESAGGISTICO REGIONALE
4 – Art. 2bis c. 1ter del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
