
3 anni fa, all’età di 64 anni, mi è stata diagnosticata una forma, definita “lieve” dai medici, di artrite reumatoide. Sarà anche lieve, sarà anche stata presa in tempo, sarà anche stata curata benissimo, come dicono loro con grande autosoddisfazione, che non corrisponde alla mia, di fatto io ho le mani doloranti e praticamente fuori uso. Si intende che devo chiedere aiuto per affettare il pane, non so se mi spiego. E devo pure considerarmi fortunata, finora.
L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune, che colpisce le articolazioni, progressiva, che può portare a gravi conseguenze. In ogni caso provoca dolori, talvolta invalidanti. Non si può guarire e viene generalmente curata con terapie sintomatiche, nel mio caso idrossiclorochina e qualche goccia di cortisone. Nessuna esenzione è prevista per le terapie fisioterapiche, che sarebbero invece molto utili, ma sono totalmente a carico del paziente e stiamo parlando di almeno 70 euro a seduta.
Colpisce in particolar modo le donne ed ha un’incidenza su circa l’1% della popolazione, fonte Fondazione Umberto Veronesi. In Italia tra le 400 mila e le 600 mila persone. Nel Lazio stiamo parlando di circa 50.000 persone. Quasi una malattia rara, praticamente un club esclusivo per sole donne.
A questo punto il lettore dirà: beh che si può fare? Se non esistono cure dobbiamo prenderne atto. Ebbene no. La cura esiste. Sono i farmaci biologici o biosimilari che hanno il potere di neutralizzare una molecola responsabile della malattia e fermarne l’avanzata, restituendo al malato una buona qualità della vita, il quale, a sua volta, pesa meno sul servizio sanitario nazionale e dunque sulle tasche del contribuente. Una “quasi” guarigione. Certo, prima viene somministrato e migliori sono i risultati.
Insomma una partita win win in una logica di buon senso, estranea a quanto pare nella testa dei dirigenti della sanità laziale. Purtroppo la gestione di questo farmaco è a totale appannaggio delle farmacie ospedaliere che lo erogano (con molte resistenze) su prescrizione esclusiva di un reumatologo della Asl. E qui si entra in un collo di bottiglia, un girone infernale. Per ragioni esclusivamente politiche (case farmaceutiche, carriere politiche, sanitarie e tutto il baraccone che conosciamo, riassunti nella parola soldi) accedere a questo farmaco è praticamente impossibile, se non per quei pochi pazienti, che dopo anni di calvario fatto di cortisone, anti infiammatori e terapie tossiche e invasive inefficaci, arrivano in condizioni drammatiche in qualche pronto soccorso, per cui diventa inevitabile darlo. Con risultati di lunga inferiori se fosse stato somministrato all’insorgere della malattia. A parte i raccomandati. Per loro, si intende, l’accesso è sempre consentito, senza tanti distinguo. As usual.
Conosco l’obiezione: è un farmaco molto caro. A cui rispondo: è un farmaco che ha una sua storia ormai, collaudato da anni, per semplificare è “vecchio”, non è un’assoluta novità farmaceutica. Come mai costa ancora così caro? Chi stabilisce il prezzo? E’ chiaro che se rimane appannaggio esclusivo delle farmacie ospedaliere, che lo somministrano con il contagocce, a loro insindacabile giudizio, il prezzo rimarrà sempre molto alto, mentre se invece venisse commercializzato nelle farmacie normali, il prezzo inevitabilmente scenderebbe. La domanda allora sorge spontanea: cui prodest ? Alle case produttrici? Alle farmacie ospedaliere? Ai primari reumatologi? Ai politici della Regione Lazio? E poi perché tutte queste storie (vi giuro che quando nomini farmaco biologico a un reumatologo, e ne ho visti parecchi in questi anni, cala una cortina di ferro, sbiancano, ammutoliscono, tossiscono imbarazzati) per “soli” potenziali 50.000 utenti? Forse perché la maggioranza dei malati è donna , dunque di serie B per nascita?
La mia richiesta è semplice: liberalizzare il farmaco biologico nelle farmacie mettendolo a disposizione di tutti, su prescrizione del medico di base, dopo la diagnosi specialistica di artrite reumatoide. Un’ottima occasione per il prossimo Presidente della Regione Lazio e del suo governo per dimostrare la tanto agognata vicinanza ai cittadini.
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