Il buongiorno si vede dalla poesia: “Fabbricare, fabbricare, fabbricare preferisco il rumore del mare che dice fabbricare fare e disfare è tutto un lavorare ecco quello che so fare”. Si può anche uscire di casa senza aver letto l’oroscopo, ma non si può trascurare la cabala. 9/11/2016: il popolo americano ha eletto il nuovo presidente, la casa bianca avrà un nuovo abitante, un personaggio per nulla trascurabile, il suo nome è Trump, interessante. In città la mattinata è ricca di sorprese: un cielo azzurro e limpido, freddo molto freddo, traffico e i soliti bambini ad affollare le scuole, lavoro e lavoratori, una giornata come tante ma solo all’apparenza. In realtà la capitale si prepara ad una serata molto interessante, dopo 7 anni stanno per calcare il palco del Monk i Sophia, band capitanata da Robin Proper-Scheppard (ex God Machine). Cala la sera, e il cielo azzurro del mattino si trasforma in una serata londinese: cappello, cappotto, ombrello e gocce di pioggia, probabilmente il tempo meteorologico ha voluto dare prova d’amore alla band proveniente dal Regno Unito, facendogli assaporare un po’ di umida familiarità.
Il Monk come realtà musicale è sempre pronto ad accogliere la musica di nicchia, una dolce culla per pubblico e artisti, artisti da molti sconosciuti. Un manipolo di 200 persone circa riempiono il locale, nell’aria si percepisce una certa frenesia nel vedere suonare la band quanto prima, così tanto da non badare alle lancette dell’orologio, una canzone degli Afterhaours dice “lasciami leccare l’adrenalina”, tutti nella sala lo fanno, è arrivato il momento tanto atteso, la band sale sul palco e lo fa in maniera esplosiva, feedback di chitarra e sonorità scomparse negli anni novanta immergono il locale come uno tsunami, si parte con la sonica Resisting, da lì in poi l’intero nuovo disco suonato nella stessa scaletta con cui è stato pubblicato: The drifter, Don’t ask, Blame, California, St. Tropez/The hustke, Your say it’s alright, Baby, hold on, It’s easy to belonely. Per chi conosce i Sophia solo tramite supporto discografico, ascoltarli in modalità live è un’esperienza da togliere il fiato. In quei momenti bisogna far finta di prendere il disco e cestinarlo, perché anche i pezzi più morbidi durante i live vengono suonati con una veemenza e una passionalità fuori dal comune. Il concerto scorre velocemente, il pubblico è impietrito, non riesce a capire se quello a cui sta assistendo sia frutto dell’immaginazione o realtà, solo chi è un habitué dei loro concerti non si stupisce più di tanto e comunque non riesce a rimanere indifferente dinanzi alla bellezza e alla ricerca dettagliata dei suoni e soprattutto della cura con cui le canzoni vengono eseguite. Robin è uomo di poche parole, sul palco si lascia sfuggire giusto qualche ringraziamento o giù di li, sempre molto concentrato e sulle sue. Suonato dal vivo, il nuovo disco fa evincere sfumature e intensità sonore ammorbidite dalla produzione artistica. Il concerto è molto piacevole, il muro del suono è assordante, i finali delle canzoni ricordano il chitarrismo dei Sonic Youth, ma sempre suonate con gusto e precisione, importante e da sottolineare che la vena malinconica traspare a prescindere l’impeto dei musicisti, e come un marchio di fabbrica fa evincere la sua presenza. Infine è il momento dell’esecuzione di vecchi brani e via con canzoni come: Bad man, So slow, If only, Bastard, Directionless, Oh my love, Darkness, fino ad arrivare all’esplosiva The river song, che come un fiume in piena inonda la sala lasciando tutti interdetti, con il suo finale ipnotico e infinito. Concerto concluso, il pubblico vorrebbe prendersi a schiaffi per capire se quello a cui ha assistito sia stato un sogno o mera realtà, la sala si svuota, rimangono gli addetti ai lavori, ma “voci incontrollate” fanno intendere che la band non ha assolutamente deluso, anzi stupito, addirittura si sente dire che qualcosa di simile non si era mai presentata loro. Ci si può ritenere soddisfatti ma con il rimpianto per un vuoto artistico che sempre più sta prendendo piede. Cappello, cappotto e ombrello, strada, casa e letto, domani al risveglio la realtà tornerà a strapparci dai sogni. “ Ero l’ultimo passeggero del giorno, ero solo sull’autobus, ero solo sull’autobus, ero contento che spendessero tutti quei soldi solo per portare me lungo l’Ottava Strada. Autista!, gridai, siamo solo tu e io stanotte, fuggiamo via da questa immensa città andiamo via in una più piccola adatta al cuore.”
Roma, 9 novembre 2016






















